martedì 20 novembre 2012


 ESSERE TOP MODEL NELLA ROMANIA COMUNISTA 
 
L’industria della moda, come qualsiasi altra attività economica, era gestita dallo Stato. Uno solo era il negozio che vendeva vestiti, Romarta. Romarta teneva solo abiti confezionati da artigiani riuniti sotto unioni sindacali dai nomi accattivanti come UCECOM (Unione Nazionale delle Cooperative Artigiane) e UCMB (Unione delle Cooperative Artigiane di Bucarest). Questi artigiani lavoravano solo materie prime provenienti da un unico fornitore, di cui era proprietario lo Stato.  
   
Tuttavia, c’era una piccola aura glamour lasciata a fluttuare liberamente al di sopra di tutto questo: il governo nominò una squadra di 25 modelle meravigliose che, insieme a pochi selezionati stilisti, erano le protagoniste di una sfilata biennale. Tutte le modelle erano uguali, ma una era più uguale delle altre, e il suo nome era Romanita Iovan.  
  

VICE: È un piacere conoscerti. Come sei finita a fare la modella?  

Romanita Iovan: Quando ero alla scuola superiore, vidi per caso un annuncio su un giornale per un casting di modelle. Una ragazza lasciava il lavoro per andare a sposarsi all’estero e avevano bisogno immediato di sostituirla con una ragazza della stessa taglia, perché c’era una sfilata imminente. Poco dopo, partecipai a un concorso per avere quel lavoro in pianta stabile, l’unico concorso di cui io abbia mai sentito durante tutto il regime comunista. Fu un processo di selezione piuttosto soggettivo con una giuria composta dal tesoriere del comitato, dal manager aziendale e da caporedattore della rivista Moda, l’unica persona che avesse qualcosa a che fare con la moda.  
Erano interessati allo status sociale delle partecipanti e ai loro rapporti con la Sicurezza statale, si poteva viaggiare all’estero solo se si era totalmente pulite. Facevamo parte di un sistema socialista internazionale e lavoravamo molto nei paesi ex-comunisti, come la Repubblica Democratica Tedesca, l’Unione Sovietica e la Cecoslovacchia. 


Com’era avere accesso a questa ristretta oasi di libertà? 

In quel periodo, l’UCECOM si trovava in un bellissimo residence, composto da numerose ville. Era soprannominato il Ministero delle Cooperative ed era molto diverso da quel mondo grigio in cui viveva la maggior parte delle persone. Anche durante il comunismo, il mondo della moda era davvero colorato. Certo, i servizi di sicurezza ci tenevano sotto sorveglianza, ma era un piccolo prezzo da pagare.   
   

Com’erano selezionati gli stilisti?  

Anche se c’era un regolamento, una procedura ben stabilita per fare la selezione, non fu mai messa in opera. Per quanto ne so, gli stilisti rimasero gli stessi per tutta la durata del comunismo. Lanciavano due collezioni l’anno, realizzate con tessuti prodotti esclusivamente da fornitori rumeni. Gli abiti non erano destinati al mercato; erano campioni realizzati per mostrare alle cooperative le tendenze dell’anno successivo, e le cooperative poi erano libere di selezionare quello che volevano produrre per il mercato di massa. Ed erano questi i capi che poi si trovavano da Romarta.


Ci sono mai stati dei capi “censurati”? 

Se censuravano qualcosa, lo facevano durante la fase del disegno. Se il disegno non piaceva, veniva modificato fino a soddisfare i censori. Però poche cose venivano censurate; potevamo portare top corti, minigonne a mezza coscia e vestiti aderenti come una seconda pelle. Non ci hanno mai proibito di indossare alcun particolare capo d’abbigliamento in passerella ma, dopo un po’, proibirono i gioielli per promuovere la semplicità. I prodotti destinati all’esportazione, invece, erano diversi. Quando andavamo alle presentazioni in Cecoslovacchia o in Unione Sovietica, portavamo sempre vestiti più austeri.   
   

C’era qualche fonte d’ispirazione? 

L’UCECOM aveva una biblioteca di ricerca, a cui arrivavano in abbonamento molte riviste di moda, di cui 50 provenienti da paesi non comunisti e 70 da stati comunisti. Così, nella biblioteca si trovavano un sacco di informazioni, impossibili da reperire altrove. Il programma settimanale prevedeva sia per gli stilisti che per le modelle un giorno dedicato alla ricerca bibliografica.


Oggi gli stilisti sono delle vere star. Qual era il loro status durante il comunismo?  

Nessuno riconosceva la mano del singolo stilista. Nelle cooperative c’erano team formati da più stilisti e la sfilata era a nome del sindacato, entro cui l’individualità dello stilista non aveva la benché minima importanza. Tutti avevano dei ruoli precisi: alcuni disegnavano gli abiti, altri la maglieria e altri si dedicavano alle scarpe.  
A parte il lavoro per il governo, avevano anche delle ordinazioni private, con cui arrotondavano. Eppure, la loro maggiore soddisfazione era il diritto di scegliere le proprie modelle, e quello che si distingueva per merito era il primo a scegliere.


Com’era essere una modella durante il comunismo?   

Visto che eravamo solo 25 in tutto, non esistevano scuole per modelle. Eravamo praticamente autodidatte. Ci esercitavamo nello sfilare, abbiamo imparato a farci i capelli da sole, a truccarci, e a importare prodotti di bellezza professionali, tramite uno che conosceva uno che aveva un parente che aveva agganci da qualche parte. Ma era una professione vera e propria; la mia tessera del sindacato diceva: “Modella - presentatrice di moda”.  
   

Come erano pagate le modelle?  

Il nostro turno durava sei ore, a differenza di tutti gli altri che dovevano lavorare otto ore. Il salario era lo stesso per stilisti e modelle, e avevamo contratti di collaborazione permanente con le cooperative, il che significava essere pagate ogni mese, anche quando non avevano bisogno di noi. C’erano anche dei vantaggi, per esempio potevamo avere tessere gratuite per curare la nostra bellezza.


Com'erano organizzate le sfilate? 

Duravano tre giorni, e si svolgevano nell’unico hotel di lusso di Bucarest, l’Intercontinental. Era l’unico albergo che ospitava turisti stranieri. C’erano sfiliate mattutine per gli esperti e poi quelle serali per gli ospiti d’eccezione. Le sfilate duravano per più di un’ora e cominciavano sempre con qualcosa d’ispirazione folkloristica. La musica straniera era vietata, per lo più mettevano le canzoni di Aura Urziceanu.  
   

Oggi, ripensando ai tuoi giorni di modella sotto un regime comunista, come ti senti?  

Sono stati i migliori anni della mia vita e quell'esperienza mi aiutò a scoprire il mio talento di stilista. Ma sono contenta che noi rumeni siamo stati in grado di aprirci al resto del vasto mondo.

Romanita indossa vestiti suoi per la campagna pubblicitaria per una compagnia aerea rumena.
Romanita (a sinistra) durante un servizio per Moda.

Di Lorena Lupu, foto di Dinu Lazar